Cosa ha a che fare la cultura con l’ENERGIA e il CAMBIAMENTO CLIMATICO? Tutto.
Più che un interrogativo è uno statement quello proposto da Cape Farewell, il programma internazionale creato nel 2001 dall’artista David Buckland per stimolare una risposta culturale alla sfida climatica.
Da quando gli artisti sono diventati i “mediatori” di un dibattito culturale sul climate change e perchè? L’arte è davvero separabile dall’attivismo?
Partiamo da queste domande per attivare una riflessione più ampia sulle nuove modalità di comunicazione di dati scientifici relativi allo stato di salute di Gaia, di modelli di sostenibilità alternativi e di forme di dissenso basate sull’estetica.
L’energia, tra arte e sociologia è il nostro punto di partenza e l’etimologia del termine greco ἐνέργεια (enérgeia) – un vocabolo composto da en, particella intensiva, ed ergon (opera) – spiega il perché. L’Energia è intesa come “capacità di agire” e, in quanto tale, capace di attivare il cambiamento.
L’arte diventa la lente attraverso la quale comunicare e capire il cambiamento (culturale, energetico, economico) generato nel “laboratorio universale” in cui viviamo in un mondo in cui “gli scienziati cercano soluzioni sostenibili, i climatologi collezionano dati e costruiscono modelli, i politici ambientalisti promuovono misure per proteggere il pianeta, mentre gli artisti sono desiderosi di tradurre le questioni politiche e scientifiche usando l’estetica della forma.”.*
Alcuni esperimenti e pratiche ci condurranno in questo percorso fatto di approfondimenti, dispersioni e deviazioni che, in alcun modo, pretende di essere esemplare.
Artists Need to Create on the Same Scale That Society Has the Capacity to Destroy, 2017. Neon. Frase di Sherrie Rabinowitz, 1984.
*Cimerman Z. (2011) Mediating and Designing Environments — Art and Natural Science. In: Gleiniger A., Hilbeck A., Scott J. (eds) Transdiscourse 1. Springer, Vienna. https://doi.org/10.1007/978-3-7091-0288-6_2.